Testo critico di Monica Miretti
“Questione di segni”
Triennale Bologna 2000, Sale Museali, Bologna
2000
(…) La lucidità dell’opera di Iler Melioli attraversa lo spazio con un segno che non ha più nulla a che fare con l’esistenza, uscito com’è da sofisticati calcoli logaritmici, da imperscrutabili proporzioni. La forma, “termine in grado di coniugare il visibile all’invisibile” e di sostanziare il segno, si pone nei lavori di Melioli in termini che non sono né univoci né definitivi. L’alberità frazionale, infatti, è in grado di generare immagini che svelano oggetti reconditi posti in termini di estraneità rispetto alla forma-albero che pure l’opera scultorea evoca. Quello che si attua, allora, è un’unione di contrari, la compresenza nella stessa forma di ciò che è effettivamente visibile e di ciò che e (ancora) invisibile e può dunque essere scoperto. Anche nel recentissimo Dasein leopardiano l’elemento relazionale si pone come pregnante: la “colonna” di acciaio – traccia segnica che convoglia al suo interno.