Testo critico di Claudio Cerritelli

Giardini pensili e paesaggi mentali
Sulle recenti opere di Iler Melioli

In occasione della mostra
“Iler Melioli – Giardini Pensili”
Associazione Culturale Renzo Cortina
via Mac Mahon 14, interno 7 – Milano
dal 16 aprile all’11 maggio 2013

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Il dialogo tra pittura e scultura che Iler Melioli conduce da diversi anni prosegue con metodo persistente indicando nuove soglie percettive, avventure cromo-plastiche capaci di fissare l’infinito sistema di relazioni spazio-temporali che costituisce l’essenza del suo progetto creativo.
L’intenzione programmatica di Melioli è di esplorare l’estensione dello sguardo dai minimi dettagli compositivi alla totalità di una visione costellata da simboli iconici, alberazioni e territori in reciproco divenire, continuum spaziale dove l’attitudine analitica è rivolta al superamento della logica costruttiva per attuare un procedimento trans-razionale.
Natura e artificio s’incontrano congiungendo le antinomie del processo immaginativo: ritmo geometrico e soffio vitale, rigore strutturale e piacere cromatico, metodo costruttivo e sconfinamento spaziale, in un flusso permutante dove materia e pensiero interagiscono, corpo oggettuale e referente virtuale si fondono nella stessa immagine.
La visione è basata sulla presenza multipla di piani percettivi che rivelano gli slittamenti del pensiero, percorsi obliqui che rasentano la superficie, fissano con enigmatica precisione ogni istante del divenire strutturale, sollecitando continui scambi tra pittura e scultura, colore e linea, superficie e ambiente, tensioni ambivalenti del campo percettivo.
“Riduzione eidetica” è il termine con cui Melioli ama definire questo viaggio intorno ai fondamenti concettuali delle sequenze visuali, spazi itineranti caratterizzati da continui allineamenti delle forze in gioco, desiderio di estendere i limiti prefissati oltre le regole del linguaggio cromo-plastico,
attraverso segni simbolici scelti per ridefinire lo spazio dell’umano sentire.
Nell’accertamento dei suoi tipici paradigmi formali l’artista ha messo in codice una sintesi figurale caratterizzata da geometrie costruttive non paragonabili al rigore algido del neo-minimalismo storico, infatti il dinamismo della metrica segnica e del registro cromatico genera emozioni sensoriali e impulsi percettivi distanti dalla sfera del tautologico, molto più aderenti alle interferenze intuitive dell’immaginazione.
Quello di Melioli è un metodo ideativo che configura spazi senza meta, diramazioni senza centro, transiti da un territorio all’altro, strutture aperte dove lo sguardo si lascia condurre in una trama ottica che presuppone una ininterrotta dislocazione delle forme. La pittura segue percorsi logici che si trasformano in proiezioni di fuga, le trame prospettiche sono proposte dall’alto come vedute parziali che proseguono verso l’infinito, lo spazio sfugge alle leggi gravitazionali pur partendo da presupposti statici, la sovrapposizione dei piani costruisce molteplici orizzonti di senso, stati di spaesamento che non producono certezze, solo stati di sospensione.
L’alfabeto inventato da Melioli è tramite tra la metafora naturalistica e la forza astraente del pensiero, ogni configurazione slitta dalla memoria del paesaggio verso la trasfigurazione virtuale, ben sapendo che la qualità sensoriale del vedere non può essere cancellata, semmai deve rigenerarsi nel movimento sinergico tra valenze fisiche e latitudini iper-mentali.
E’ quanto avviene nella serie dei “giardini pensili”, definizione scelta per il titolo della presente mostra, prima personale che l’artista tiene a Milano, con opere inedite di varia dimensione, collegate da molteplici rimandi inter-testuali: sculture di acciaio puro o policromo si alternano ad acrilici su tela e su carta, a resine policrome e assemblati in vetro e pigmenti.
La codificazione segnica dell’albero è vettore dominante di una fito-genesi infinita, icona generativa di configurazioni che procedono per variazioni, intersecazioni, schemi compositivi che demarcano l’insieme delle singole forze, visione sinottica della molteplicità, oscillante dall’immagine bidimensionale all’articolazione plastica tridimensionale.
Già nei precedenti cicli di ricerca l’immagine del “giardino” evocava le multi-sequenze dello stesso segno, stilizzate fioriture di alberi come proliferazione variabile della stessa morfologia: biforcazione ritmica di segmenti che divergono dall’asse centrale, indice visivo sempre uguale che si ripete tra fissità e dinamismo, con predilezione per andamenti trasversali adatti a esprimere duplici e triplici sovrapposizioni di piani e di linee.
I colori (verde, giallo, blu, terra bruciata, viola) sono dipinti come purezza planimetrica, sono emanazione millimetrica di energie mentali, la materia acrilica che si dispone piatta senza fremiti gestuali, emergono contrasti timbrici con tagli netti tra una zona e l’altra, desiderio di armonizzare le asimmetrie e le differenze. Le linee (nere, blu, celesti, rosse, rosa) hanno spessori diversi, si sovrappongono ai piani annullando ogni tentazione statica, non vi sono curvature ma solo scansioni ritmiche della retta che rafforzano le tensioni ottiche come strumenti di attivazione percettiva.
Spesso si avverte un’ulteriore sospensione di piani e di linee dovuta agli sdoppiamenti delle ombreggiature, esse suggeriscono lievi effetti tridimensionali, respiri trasparenti che infondono un senso di rarefatta leggerezza.
I segni stilizzati degli alberi sono posizionati sempre sugli angoli delle griglie, equidistanti, regolari, impassibili, grafemi inconfondibili di un linguaggio spaziale che allude alla scrittura, talvolta essa si rivela nell’impatto frontale della pagina pittorica, molto più spesso è proiettata verso i margini, esce dallo schema di riferimento, segue impulsi trasversali, si porta oltre.
Le variazioni sono articolate per attrazione magnetica, presenza simultanea d’intersezioni tra geometrie piane, bande cromatiche e linee che creano separazioni e intervalli, i segni sembrano comportarsi come i pensieri dell’artista che verifica continuamente la presenza-assenza dei vuoti.
L’uso di reticoli più o meno fitti incide dinamicamente sulle campiture di colore luminoso e compatto, questo avviene soprattutto quando la direzione trasversale determina un valore ottico-prospettico che gioca avanti-indietro con effetti reversibili. Quest’assetto compositivo non conduce a soluzioni radicalmente astratte, aniconiche e autoreferenziali, l’esplicita indicazione dei titoli delle opere spinge l’osservatore a non perdere mai di vista il tramite iconografico della natura, l’incanto ancora possibile del suo volto presente e futuro. In tal senso, i “paesaggi” sono interpretati come ideogrammi e pittogrammi rivolti al futuro, reperti provvisori per dialogare con le mutazioni del presente, campi cromatici caratterizzati da progressioni segniche capaci di restituire all’osservatore una visione tecno-morfa della natura.
Quando simili esigenze cognitive si trasferiscono nel corpo delle sculture, come avviene per esempio in Diapason orfico (acciaio inox su base di granito nero) si avverte una concentrazione della struttura plastica che, al di là della misura minimalista, coinvolge lo spazio circostante con effetti lucenti, vibrazioni luminose, tensioni espansive in dialogo con l’energia del cosmo.
Nella forma canonica del diapason l’artista incarna la dimensione assoluta della scultura come strumento iniziatico per captare la totalità misteriosa dell’invisibile, sollecitando dimensioni sconosciute attraverso equilibri essenziali tra la forma simmetrica e le potenzialità della luce.
Rigorosi rapporti volumetrici racchiudono qualità magnetiche che esaltano la misura oggettuale della scultura e la proiettano oltre l’immagine tecnicamente perfetta della materia di cui è costituita. La cura di ogni dettaglio formale (dal carattere monolitico della base al ritmo segmentato che culmina verso l’alto) permette di sollecitare in chi guarda un’esperienza psico-fisica capace di mettersi sulla lunghezza d’onda del pensiero di Melioli, sempre più interessato agli equilibri imponderabili tra modulazioni plastiche e vibrazioni luminose dell’acciaio.
Il grado d’irradiazione cosmica che si può toccare partendo dal valore simbolico del diapason continua negli echi armonici delle altre sculture modulari in acciaio policromo che mantengono inalterata la ricerca di purezza formale congiunta alla scelta di tecnologie computerizzate a taglio laser, usate con precisi calcoli numerici per ottenere il massimo rigore plastico.
Del resto, la dimensione oggettuale della scultura è sempre stata per Melioli un prolungamento dei valori di superficie, desiderio di sviluppare una spazialità che ha il proprio fondamento nei rimandi tra superficie ben definite e spinte tridimensionali, tra ordito geometrico e qualità oggettuale del profilato metallurgico industriale.
Affidandosi sia alle risorse costruttive della pittura, sia alla sintesi dinamica della scultura, l’artista esalta nella convergenza di questi linguaggi le possibili connessioni tra individuo e paesaggio, dialettiche immaginative per valorizzare lo spazio dell’esistenza.
L’arte diventa luogo di relazione tra universi segnici capace di garantire l’amplificazione degli orizzonti creativi, producendo all’interno delle pratiche e delle tecniche dei nuovi sistemi di comunicazione immagini di sintesi animate da un nuovo senso di interiorità.
Tale visione esprime una riflessione sull’identità dell’essere in rapporto alla storia e all’attualità, condizione essenziale per ripensare la qualità dell’atto creativo come strumento per trasformare gli automatismi comunicativi del cosiddetto “villaggio globale” in autentiche relazioni intersoggettive.
L’operazione concettuale di Melioli spinge pittura e scultura a confrontarsi con la mutazione del contesto ambientale, a riflettere sul cosiddetto iperspazio telematico che va sostituendosi alle percezioni soggettive dei luoghi, spazi virtuali dominati dalla tecnologia che s’interpone tra uomo e natura, con pericolose conseguenze antropologiche.
Giardini e paesaggi sono dunque metafore vitali senza nostalgie naturalistiche, luoghi di ricomposizione ideale delle frantumazioni del mondo, topologie dell’immaginario iper-segnico di Melioli che reiventa a modo suo quel mondo artificiale che sta snaturando la nostra identità sensoriale.